Petrolchimico di Priolo: la storia e le polemiche sulla fabbrica

Petrolchimico di Priolo, cosa succede nel grande polo siciliano: la crisi acutizzata dalla guerra e il rischio chiusura per 10mila dipendenti

Petrolchimico Siracusa, foto Wikipedia

Fin dalle prime battute della guerra in Ucraina è stato chiaro che oltre alle vittime umane altre gravi conseguenze ci sarebbero state sul piano energetico. Un aspetto che avrebbe coinvolto anche chi dal fronte del conflitto è lontano.

Un esempio è il Petrolchimico di Priolo, in provincia di Siracusa. Gestito da Lukoil, azienda russa, si rischia la chiusura e la perdita di lavoro per oltre 10mila persone. Il 5 dicembre scatterà l’embargo al petrolio russo e dunque da quella data non si potrà più acquistare.

I lavoratori sono in agitazioni con scioperi e manifestazioni. In caso di chiusure le conseguenze saranno tragiche con migliaia di famiglie che non sapranno più come arrivare a fine mese, mentre l’inflazione continua ad aumentare.

Nato nel secondo Dopoguerra il petrolchimico ha ricevuto importanti investimenti negli anni Sessanta e tanti sono stati i passaggi di proprietà da allora.

Petrolchimico di Priolo, si pensa alla nazionalizzazione

Queste attività sono da prima che la Russia invadesse l’Ucraina anche per una questione ambientale e le emissioni delle attività che non fanno altro che peggiorare la situazione.

Inoltre la tassa europea del carbonio ne giro di due anni è raddoppiata, passando da 30 a 60 euro. Non a caso le aziende del polo con Confindustria, sindacati e enti locali avevano chiesto al Mise il riconoscimento come “area di crisi industriale complessa“, in modo da poter avere i finanziamenti e pensare a una seria transazione ecologica.

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Eppure il polo da solo produce un terzo del fabbisogno italiano. Ciò fa capire come non sia solo importante produrre, ma come e quali sono le realtà geopolitiche che ci sono dietro. Come se non bastasse la Procura delle Repubblica di Siracusa ha posto sotto sequestro il depuratore nell’ambito dell’indagine che ha una grave accusa: disastro ambientale.

Per evitare il peggio non si esclude la nazionalizzazione riportando la raffineria sotto il controllo dell’Eni che esattamente vent’anni fa la diede a Erg che a sua volta la passò a Lukoil nel 2013.

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Una ipotesi che riporta Repubblica.it del 23 novembre scorso, una portavoce Eni ha fatto sapere che “non è mai stata considerata”. Anche la stessa Eni è cambiata rispetto al 2002 con il 70% dei fondi che sono privati.

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