Proteste per la paga: può davvero scattare il licenziamento, cosa dice la legge

Proteste per la paga, la Cassazione si è espressa su un caso particolare: i limiti dei datori e dei lavoratori

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Il licenziamento è solo una delle forme che ha il datore di lavoro come reazione al comportamento di un dipendente. Sicuramente è la più estrema e dura, ma comunque deve avvenire per una giusta causa.

Insomma, per quanto brutto, togliere il lavoro a una persona è previsto dalla legge ma i fatti devono essere supportati da evidenze. Non si può dare il benservito a un lavoratore per un capriccio personale: deve esserci una solida motivazione.

Lo è se il dipendente protesta perché insiddisfatto della propria paga? Laleggeugualepertutti.it riporta un caso trattato dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione. Si riporta il caso di un lavoratore che ha preteso un trattamento economico migliore considerando pure i tempi.

Il Covid prima e la guerra in corso in Ucraina poi, con l’aumento dei prezzi energetici, hanno fatto crollare il potere d’acquisto di tutti, in modo particolare chi di ha uno stipendio fisso. Guadagnare in più, dunque, non è avidità di questi tempi ma una necessità.

Proteste per la paga, dipende dal modo

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Partiamo dalla premessa dell’articolo 36 della Costituzione italiana: la retribuzione di un lavoratore è “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e deve garantire per sé e alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa”.

Allo stesso momento il datore di lavoro può stabilire di riconoscere a propria discrezione una maggiore retribuzione come premi di produttività e bonus purché ciò non avvenga discriminado per razza, nazionalità, sesso, età, opinioni politiche e fede religiosa. È proibito se una differente retribuzione avviene per diversi stati di salute o appartenenza sindacale.

La Cassazione ha trattato un caso di licenziamento che la Corte di Appello di Genova (dunque il secondo e penultimo grado di giudizio) aveva condannato l’azienda. Anche la Suprema Corte ha dato ragione al lavoratore.

La persona in questione aveva protestato quando aveva scoperto che rispetto a colleghi con le stesse mansioni aveva una retribuzione minore. Il massimo provvedimento disciplinare, appunto il licenziamento, è stato considerato sproporzionato.

La Cassazione ha confermato quanto stabilito dalla Corte di Appello, ossia la riassunzione del lavoroatore o il versamento di un’indennità risarcitoria pari a 5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Ma perché il lavoratore ha avuto ragione? La sua protesta è stata solo verbale, non c’era stato nessun atto di violenza.

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